9 maggio 2013

punk

Quando arriva, nella copertina di Horses, 1975, fotografata da Robert Mappelthorpe, in un bianco e nero morbido e sinuoso, è ancora sconosciuta. Io la fisso. Patti Smith, Horses, dice il titolo, Horses, che titolo è? Mi piace. Lei indossa un paio di jeans, una camicia bianca con le maniche strappate, al collo una cravatta nera, sottile, tiene sulla spalla una giacca scura, da uomo, al bavero una spilletta con un uccello. Mi guarda con aria tra lo sfrontato e il malinconico. Non ho ancora sentito la sua musica, ma so già che non si tratta delle solite lagne femminili anni settanta. No Joan Baez, No Jony Mitchel. Me lo dicono questi indizi, e il nome del suo produttore artistico, che è l'ex viola dei Velvet Underground, John Cale. All'epoca, siamo nella preistoria degli anni Settanta, si prende il disco e si chiede al negoziante di ascoltarlo, ci sono delle cabine nelle quali ti isoli, metti il lp sul piatto, e ascolti. Si vive senza computer, internet è roba della Nasa, non ci sono cellulari e i canali della TV sono solo 2. Se vuoi scoprire nuova musica vai in “discoteca” così si chiamano i negozi di dischi, al massimo hai letto le due o tre riviste specializzate che ti parlano in modo un po' nerd di quel che esce. E poi annusi, leggi gli indizi. Voilà. Patti Smith arriva con la furia di un uragano, non rispetta le coordinate sino ad allora conosciute, si definisce poetessa, cita Pasolini, legge Hubert Selby jr., conosce Maria Callas, che pare sia stata il suo idolo da bambina, e respira nuovo rock'n'roll, quell'aria secca che esploderà nel punk di lì a due anni. Il disco sprigiona energia e dolore. Un dolore che serpeggia, sotto le tessiture rock'n'roll tiratissime. In poco manterrà le promesse e diventerà l'inno della nuova generazione. Lo compro sapendo che sono soldi ben spesi. La mia anima esulta. A casa starà sul piatto sino a consumarsi, alternato a The Idiot di Iggy pop, 1977, che dichiara morto il periodo Stooges e inaugura la collaborazione berlinese con Bowie. Horses e The Idiot sono due dischi diversi, entrambi lancinanti. Ma egualmente importanti. Iggy ha i capelli corti, ancora foto in bn in copertina, posa da focomelico, giacchetta corta, niente camicia, e jeans. Te lo spara in faccia il suo “non-voler-essere-bello”. Corteggia il dolore, la nostalgia disperata, i giochi, le droghe, e la danza con morte e gli eccessi che avvolgerà questo inizio punk. Sino alla fine tragica di Syd Vicious. Che arriverà fragorosa a tracciare una linea nera. La linea oltre quale non andare. Public image limited (PIL) questo è il nome , il simbolo che Johhny Rotten-Lydon, ex cantante dei pistols per l'appunto, e compagno di Vicious, decide di prendere per il progetto suo musicale post pistols. Lui, che ha visto deflagrare la sua generazione, e che non ci sta ad auto-distruggersi per il divertimento dei media. Ma torniamo nel '77. Questo uragano che fu il punk, spettina le coscienze di critici e intellettuali o semplici fruitori non abituati all'elasticità. Prende a schiaffi salvifici, divora la coscienza di chi si era consolato fino ad allora, placidamente assorto in una musica-vita spuntata, scuote, risveglia. Io non ho 19 anni quando vedo alla tv Michel Pergolani che annuncia la rivoluzione e mostra un filmato: ci sono i Pistols che si dimenano attorno a tre accordi urlati, violenti, semplici e pieni di una cosa essenziale, la vita. E due mesi dopo parto per Londra, viaggio infinito, autostop. Non c'ho una lira in tasca. Finalmente il Roxy! Tempio del punk, 41 Neal Street, distretto Covent Garden. Ci suonano tutti lì, dai Damned, ai Vibrators, di cui vedo le scritte, infestano la città, perfino sulle scale della metro. Poi Buzzcocks, Stranglers, Siouxie, nomi che diventano leggendari in pochissimo. I pistols sono fuorilegge in 5 minuti; suonano sui barconi del Tamigi e cambiano nome ogni volta. Abituato all'Italia turbolenta sono costernato nel vedere tutti i punkettini in fila ordinata pronti a pagare il biglietto. Da noi ai concerti si sfonda e si prendono i lacrimogeni. Dentro si sta stipati, c'è chi rutta chi si prende a bottigliate in faccia. La musica ti rimbomba nelle viscere. Questa è Londra! A Portobello mi compro un paio di guanti da donna, lunghi, di seta, degni della Cansino. 3 pounds, ci mangio due giorni, ma mi piacciono. Il bancarellaro però non me li vuole vendere, disgustato perché li ho misurati e ha capito che son per me. Mi dileguo e mando la mia fidanzata. Lei li compra. Dormo in una palestra di karate vicino a Notting Hill, che alla notte affitta i tappetini in gomma come materasso. Le donne su, al primo piano e gli uomini giù. Ambiente lercio. Io e la mia ragazza di allora, Susanna, facciamo la fame. Non è l'epoca delle telecamere, si entra in un supermercato e si prendono le cose che mangiamo tra gli scaffali, attenti a non farci vedere dai commessi. Pane, cioccolato, qualche affettato lo infiliamo sotto il maglione. E' luglio, agosto, ma fa un freddo boia a Londra. Alla mattina presto si ruba il latte, come nei film. Per vivere bisogna lavorare, dopo una ricerca di giorni mi prendono in una bettola-pub a due piani. L'atmosfera è greve, sembra di essere in un bordello. Cuoco, aiuto cuoco, e inservienti sono dei maniaci sessuali, se entra una donna delle pulizie le palpate non si contano, il vice cerca di farsela sul banco per pestare la carne, lei si dimena e lui allora, in piena ispirazione artistica, le compone una passerina con due petti di pollo. Risate. Non mi chiamano Igor, preferiscono “fucking italian”, è più divertente. Per loro. Io sono "sguattero di ultima", mi danno i pentoloni da lavare, pentole in cui potrei probabilmente dormire. Un giorno finito il lavoro, il capocuoco, un indiano dallo sguardo lungo, nota che mi vengono a prendere due amiche. Entrambe carine. Una è la mia baby. L'indiano si arrapa e mi promuove a "sguattero con macchina lavatrice", vuole uscire con me e le due. E bere una birra in compagnia non è esattamente la sua mira. Mi racconta, in estasi, della notte d'amore con un paio di gemelle, appena la settimana prima. Il gioco di specchi erotico lo inebria. Devo sopravvivere, accetto entusiasta: "usciamo senz'altro", mento. So che le mie amiche mi scuoierebbero per questo, ma le informerò solo a posteriori, a pericolo scampato. La settimana è lunga. L'indiano mi osserva, vuol capire se lo prendo per il culo o meno. Mi minaccia con il coltello. Io lo rassicuro. Sabato è “paiiidaai”, giorno di paga, come dice con pronuncia cockney lo "sguattero di prima". Devo resistere. Appuntamento giovedì, poi guarda caso, la mia amica si ammala, ops, ci vedremo lunedì. Mi aspetto di tutto, anche che non mi paghino di sabato, ma l'indio è chef, mica padrone. Sabato vengo pagato e saluto tutti, "a lunedì", faccio ciao ciao. E poi la sera di Londra mi inghiotte per sempre. Addio bettola-pub, addio sopranomi simpatici. Fanculo. Nei mesi successivi eviterò accuratamente la zona. Portobello è il luogo in cui li vedi che sfilano, con le loro spille che bucano le guance, catenelle che uniscono orecchie a naso, svastiche al braccio, badge con Hitler a testa in giù, capelli sparati verso l'alto, piume colorate all'orecchio, creste ecc, tutta la paccottiglia che all'epoca fa punk. Oppure a King's road, dove Vivienne Westwood e Malcom McLaren hanno la loro boutique “sex”. Io ci entro, ci sono pantaloni scozzesi con le catenelle, ecc, ma non me li posso permettere. Sono un sognatore pezzente. In quei giorni però compro metal machine music di Lou Reed. Il negoziante mi dice: "Se ami Lou Reed non prenderlo". Io ho la testa dura, cercherò di ascoltarlo a più riprese, quel capriccio concettuale di Lou. Alla sera una birra in un pub, dove suonano continuamente. E' una Londra in pieno fermento. Alla palestra dove si dorme la notte ho conosciuto tre ragazzi di Roma. Uno lo chiamiamo facc'e culu. ha il muso di un bambino. Nessuno di noi può permettersi di pagare il biglietto della metro. The tube, come la chiamano gli inglesi, costa una fortuna e il biglietto aumenta a seconda della distanza. Si salta. Ma qui se ti beccano i controllori non si limitano a farti la multa, dei punk e dei turisti furbi hanno fatto il pieno, ti portano in uno stanzino e ti pestano per bene. E notte quando vediamo arrivare Facc'e culu tutto pesto e gonfio. Lo hanno conciato male, per quelle misere due sterline. Ma c'è di più, i gestori della palestra dicono che a mezzanotte i portoni si chiudono e basta. Non si discute. Cerco, educatamente, di fare presente che alcuni di noi lavorano, che finiscono a mezzanotte. "Che sarà mai ritardare la chiusura per mezz'ora? Giusto il tempo di prendere la metro e venire a dormire". Niente. Così, come prevedibile, la notte dopo chi arriva comincia a chiamare, da fuori. E' insopportabile, molti di loro non li conosco neppure, ma che vuol dire? Siamo quasi tutti svegli dentro, e si parlotta. In breve tre o quattro di noi sgattaiolano verso il portone, e aprono. Quelli che entrano sono incazzati. Non si limitano a entrare, ma urlano, sbraitano contro i gestori. Le notti che seguono, uno per uno, veniamo identificati come organizzatori della rivolta e buttati fuori. Sembra una canzone di Peter Gabriel, la rivolta di Nothing Hill. Qualche tempo dopo tornerò in Italia. Bologna. Tre mesi all'addiaccio, l'inverno del nord, a cercare casa. Ma troverò il Punkreas, che era un pò il Roxy de noantri. E ricomincerò a suonare, con Andrea e Bramino. Prima di andare all'Italian records, che pubblicherà di li a poco il mio primo disco.

2 commenti:

Luc ha detto...

Grandi memorie. brividi. una londra cupa e meravigliosa, per me era nell'anno 1979 ... il punk stava già morendo, ma c'era ancora moltissimo da ascoltare

perissin8 ha detto...

Nel 1979, avevo 13 anni, comprai due dischi, il primo era il 45 giri di Atlas Ufo Robot, il secondo era il primo lp dei Sex Pistols. Anni dopo uscirono i Sigue Sigue Sputnik, ero già "adulto" e punk dalla testa ai piedi (anche se il punk era già morto, o forse fingeva soltanto di esserlo)...fu un po' come riascoltarli due in uno.
Musica mutante.