25 aprile 2013

keith

Quando incontrai Keith Haring era il 1984, stava finendo di ritoccare delle anfore dipinte con i suoi decori alla galleria di Salvatore Ala, a Milano. Gli dissi che disegnavo fumetti, e che mi piaceva quello che faceva. Sorrise. "oh, comics" disse. Chissà cosa immaginava. Fumetto underground all'americana, magari. Forse parlammo di Francesca Alinovi, non ricordo. Lui era timido, magro, e appariva ancora più piccoletto con dietro i dipinti gigantesci tutti istoriati con quella sorta di disegno-scrittura per cui era diventato celebre. Frequentava Wharol e Basquiat, a quell'epoca, e ricordo distintamente che circolava la voce che spendesse oltre la metà di quanto guadagnava per produrre il merchandising con i suoi disegni. T-shirt, felpe, orologi ecc. C'era un negozio a N.Y. tutto con le sue cose, e credo fosse vero. Il che me lo rese subito simpatico. A quell'epoca andare contro l'idea romantica dell'artista era salutare. Eravamo sopravvissuti a quella paccotiglia intellettuale e si pensava che un pò di sano cinismo fosse "aria per i polmoni". Macché ispirazione, si professava l'idea del "non musicista" (B.Eno) e quella dell'artista imprenditore (A.Wharol). I graffittisti poi venivano dalla strada ed erano approdati in galleria solo di recente. Il mese dopo uscì Alter con la mia copertina, stampata su una tapezzeria grafica fatta da lui, Keith. Fu una bella sorpresa.

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