8 novembre 2009

domandine


post pubblicato in Diario, il 10 maggio 2009
L’improbabile intervista di Gianni Minà
di Yoani Sanchez - 9 maggio 2009

Tutta una serie di argomentazioni retoriche - così ampie negli anni Sessanta del secolo passato - muovono i loro colpi di coda moribondi in questo millennio da poco cominciato. È un modo di dibattere sullo stile delle “barricate”, ci si sistema dietro ai parapetti e da un luogo sicuro si lanciano insulti all’indirizzo degli oppositori, invece di argomentazioni. Gianni Minà ha spolverato una parte di quella consumata artiglieria. L’arsenale che ha riversato sopra di me è composto dalle solite accuse: sono una creatura del Nord e ho dimenticato in maniera predeterminata di ricordare i vantaggi dell’attuale sistema cubano. Per concludere mi ripete il ritornello che sono una “sconosciuta” a Cuba, dimenticando che mi sono sempre vantata di essere una persona piccola e insignificante.
Minà, invece, possiede un curriculum di tutto rispetto. È riuscito a intervistare la persona che ha retto i destini del mio paese per cinquant’anni, mentre noi cubani non abbiamo mai potuto rivolgergli domande o rispondergli con un voto depositato nell’urna. Il libro che è uscito fuori da quell’incontro veniva esposto nelle librerie negli anni in cui pensavo di abbandonare il liceo, perché non avevo scarpe da mettermi. Dalla nostra parte e lontani dalle vetrine dove veniva esibita l’ampia intervista in edizione di lusso, succedevano cose molto diverse: si svuotavano le tasche, cresceva la frustrazione e prendeva campo la paura. Tuttavia non comparivano simili osservazioni nelle frasi elaborate di quella pubblicazione e l’autore non ha ritenuto opportuno pubblicare una seconda edizione per riparare a certe dimenticanze.
Mi piacerebbe suggerirle un paio di domande per un nuovo incontro tra lei e Fidel Castro, che probabilmente non avverrà mai. Indaghi signor Minà - lei che può parlare con Lui - come mai non decreta un’amnistia per Adolfo Fernández Saínz e i suoi colleghi, che hanno già scontato sei anni di galera per delitti di opinione. Annoti nella sua agenda, per favore, i dubbi della mia vicina sul divieto di entrare a Cuba pronunciato nei confronti del fratello, dopo “aver disertato” durante un congresso all’estero. Trasmetta l’interrogativo di mio figlio Teo, che non comprende come mai per essere ammesso agli studi del livello superiore deve dimostrare di possedere una serie di requisiti ideologici.
Se lei può avvicinarsi a Lui - più di quanto è stato mai possibile a ogni cubano - le chieda di permettere a questi “sconosciuti” cittadini di associarsi, fondare un giornale, creare un emittente radiofonica, fare domande a un presidente o sfruttare un diritto - che lei esercita senza limiti - di scrivere pubblicamente opinioni molto diverse rispetto a quelle del governo del suo paese. Le assicuro che quella intervista - che lei non farà mai - diventerà un best seller su questa Isola.

Traduzione di Gordiano Lupi

pretendere di non capire

In aperta polemica con Yoani, Gianni Minà fa la sua propaganda castrista. Nostalgia degli anni sessanta, ideologie arruginite e non so quanta buona fede portano ad affermare che:

" I ragazzi cubani che Yoani Sanchez sostiene vivono solo privazioni sanno perfettamente, infatti, che queste conquiste sociali rendono Cuba, pur con tutti i suoi errori, diversa, più libera, dai paesi che invece, negli anni, sono stati prigionieri del neoliberismo e del mercato, come quelli delle villas miserias delle grandi città o come i trenta milioni di bambini randagi del continente.
Yoani Sanchez, nei suoi articoli, fa finta di non saperlo."

Gianni Minà, dal suo blog



Gli avvenimenti di ieri, purtroppo mostrano quanto sia libera la Cuba di Yoani Sanchez, che Minà vede solo, evidentemente, daglle finestre di un hotel a 5 stelle.

generation y


Ancora dal blog della cubana Yoani Sanchez, il resoconto di un rapimento e pestaggio.

"Sono ancora sotto lo shock della violenza fisica"

"Mi sento piena di dolori come un’anziana che soffre di reumatismi. Nonostante tutto lo spirito blogger è intatto. Hanno risposto alle parole con la violenza: è la sola cosa che sanno fare.

Eravamo all’interno di un’auto, maltrattati, picchiati… tre uomini che non si sono voluti identificare ci hanno allontanati dalla marcia contro la violenza.

Sto rimettendomi in sesto dopo il sequestro di ieri, ma sono ancora sotto lo shock della violenza fisica. La sola cosa che non voglio perdere è lo spirito che anima questa nostra lotta da blogger".

Traduzione di Gordiano Lupi
www.infol.it/lupi

una donna


a Cuba qualcuno racconta la vita di tutti i giorni nel suo blog.
ecco un esempio


Si narra che quando cadde il muro e le due Germanie si riunirono, da Oriente arrivarono persone che non avevano mai mangiato una banana. Guardavano estasiati il lungo frutto che i poco forniti mercati dell’Est in tanti anni di economia centralizzata non avevano mai venduto. Penso che assaggiare la dolce polpa di una banana deve essere stato come gustare la fine di un sistema durato cinquant’anni. Tra i due sapori, preferirei sperimentare il secondo, perché ho trovato il primo sulla mia tavola fin da bambina.

Nelle nostre case la banana - insieme all’arancia - è stata uno dei frutti fondamentali, molto prima che i tedeschi conoscessero la sua esistenza. Noi cubani non avremmo abbattuto un muro per addentarne la superba consistenza, ma dobbiamo a lei se negli anni Novanta la nostra alimentazione non è stata ancora più frugale. Il “purè” fatto con le varietà chiamate “macho” o “burro” è stato, per settimane, il solo alimento per il mio corpo adolescente. Come beneficiaria delle sue virtù, vorrei erigerle un monumento, anche se per costruirlo dovessi importare un esemplare dal Costa Rica e usarlo come modello per la meritata statua.

Non vedo una banana da settembre dell’anno passato, quando gli uragani rasero al suolo le piantagioni. Non voglio credere che, dopo aver resistito ai disastrosi piani agricoli e agli sfortunati incroci genetici, finiremo per perdere le banane proprio adesso. Questo frutto che è riuscito a superare gli esperimenti del Grande Agricoltore in Capo, non può morire per colpa di un paio di cicloni. Ho il timore che siamo - come i berlinesi del 1989 - sul punto di sospirare ansiosi dietro al sapore della banana.



Traduzione di Gordiano Lupi

www.infol.it/lupi

24 luglio 2009

parole spicciole in ricordo di un uomo che non c'è più

Quando muore qualcuno che si è amato non ci sono parole ma solo ricordi che vengono a galla, quasi a suggellare che sono andati per sempre. Carlo è morto, all'improvviso. Se ne è andato il mio compagno di giochi, di sfide intellettuali, con cui avevamo sognato e realizzato Coconino. Mi aveva fatto tanti racconti, a sera a cena, o nei pomeriggi dopo le riunioni di lavoro, lui che era di una generazione prima della mia, mi diceva di un'Emilia popolata da bislacchi, cialtroni, artisti e narratori. Erano racconti meravigliosi, esilaranti e malinconici, che mi porto sempre dentro. Un giorno se ne avrò la forza diventeranno un libro, chissà.
Dopo un mio soggiorno recente nella steppa ucraina lo avevo chiamato e invitato a visitarla con me. "la capiresti" gli avevo detto e lui sornione sorridendo diceva "sì, sì'".
Quel viaggio non ci sarà mai. E questo a strozzare le mie speranze, a confondermi.
Coconino invece andrà avanti, in suo onore, e in onore del lavoro fatto in questi dieci anni.

22 marzo 2009

vlad


Grattando" la sua chitarra a sette corde, Vysotsky inizia a cantare canti di prigione e di malavita. E nello stesso anno debutta in ruoli minori sia al teatro che al cinema. Nel 1961 scrive la sua prima canzone, intitolata "Il Tatuaggio". Già in queste prime fasi, quasi per gioco, un suo amico registra le sue canzoni e gradualmente inizia una sorta di distribuzione "porta a porta" che contraddistinguerà tutta la sua vita.

Le sue canzoni cominciano a circolare, anche se il suo nome è ancora sconosciuto. Già nel 1963, a Vysotsky capita di sentire alcune sue canzoni rimanipolare e cambiate nelle strade di Mosca. In quello stesso anno si sposa per la seconda volta, con Ljud’mila Abramova, conosciuta sul set di un film a Leningrado, ma soprattutto inizia quella specie di "fuoco sacro" che lo porta a produrre e scrivere instancabilmente.

Nel 1964 un provino per Ljubimov, direttore del prestigioso teatro Taganka. Curiosamente, Ljubimov non è convinto delle sue doti di attore, ma lo prende con sé perché affascinato dalle sue canzoni che cominciavano ad essere già note. Ma già nel 1965 è a pieno titolo uno degli attori principali del Taganka, dove svolgerà ruoli memorabili: Kerenskij nei "Dieci giorni che sconvolsero il mondo", e poi soprattutto "Galileo" di Brecht. Esce il suo primo disco, colonna sonora del film "Verticale". Nel 1967 interpreta il ruolo di Majakovskij in una pièce intitolata "Ascoltate Majakovskij", e poi il Pugachëv di Esenin. E’ il suo trionfo come attore. Marina Vlady descrive così la scoperta di questo attore: "Sul palcoscenico si dibatte e urla un uomo a torso nudo, con le braccia e il petto stretti dalle catene. L’impressione è terrificante. Sul piano inclinato del palco altri quattro uomini tendono le catene che hanno la duplice funzione di rete e di lacci...Come tutti gli spettatori, anch’io sono scossa dalla forza dell’attore, dalla sua disperazione e dalla sua voce incredibile. La sua presenza sulla scena getta nell’ombra tutti gli altri: solo lui sembra captare la luce. Il pubblico, in piedi, applaude calorosamente." Vysotsky diventa un idolo, un attore leggendario.

19 febbraio 2009

senza parole



Fine del processo, tutti innocenti gli assassini di Anna Politkovskaia.

23 gennaio 2009

Mosca, Anton e gli altri


Io e Anton Pavolovich abbiamo tante cose da dirci, da anni. Lo vengo a trovare qui, nella Mosca che lo ha accolto per sempre, che lo ha visto ritornare dalla Germania, ucciso dalla tubercolosi a 44 anni, in un treno di ostriche fresche. Una cosa lievemente ridicola, come nei suoi racconti. Cechov è un pezzo della mia vita, qualcun'altro si ricorda di lui e della sua moglie attrice, Olga Knipper Cechova, sepolta di fianco. Ci sono delle rose e qualche orchidea gelata. E un'aria di tempo fermo. Eterno. Ci parliamo, nella neve di questo inverno quasi temperato. Meno sette. Poco distante da lui Gogol, grande anima, grande spirito, che sorride sornione.

16 gennaio 2009

Nevsky 1



San Pietroburgo, bella e malinconica. Faccio incontri e parlo del passato. Sento il dolore di questa città, trovo tracce del suo assedio a opera di Hitler. La fame, eternamente presente. Si respira un'atmosfera meno disperata rispetto all'Ucraina. Ma non meno rassegnata a una vita difficile.
I colori polverosi dei palazzi costruiti nel 700 e 800 dagli architetti italiani sono meravigliosi.Francesco Bartolomeo Rastrelli che fu chiamato a corte da Pietro il grande per disegnare questa città sorta dal nulla. E diede il la a tutti, che lo seguirono, molti dei quali italiani. Antonio Rinaldi, vanvitelliano, poi Giacomo Quarenghi, che per arrivare a Pietroburgo impiegò da Lubecca, dieci giorni di navigazione a causa del vento contrario.Questa città è una danza di forme e linee rette. che anticamente erano dettate dalle esigenze dei canali per la navigazione, molti dei quali oggi chiusi (questo svela il mistero dei numeri delle vie che prese da sud hanno un numero e prese da nord un'altro).
I codici marinari sembrano presenti come una rete, sotto il tessuto delicato di questa città sterminata. 5 milioni di abitanti, tagliata dal fiume Neva che adesso è gelato completamente eccetto una riga centrale che si usa per la navigazione. Guardo come un bambino quello che il ghiaccio è stato capace di disegnare, onde del fiume sospese, glassate, come se il tempo si fosse fermato. Questa la sensazione ovunque.
In Nevsky Prospekt, ai piedi del palazzo Singer, la libreria più grande della città. Con un'atmosfera d'altri tempi. Le sedie e i tavolini per leggere, consultare i libri, studiarli bene prima di un acquisto che qui la cultura è ancora per fortuna indispensabile, ma costa.

1 gennaio 2009

Riconoscere il talento


Un esempio nobile di amore per il talento degli altri, di chi ti nutre e insegna a guardare.

Parajanov 6



Parajanov, arrestato nel 1974, viene condannato a 5 anni di insolamento nei campi di lavoro sovietici con le accuse grottesche di "commercio di oggetti d'arte, instigazione all'omossessualità, istigazione al suicidio, commercio al mercato nero". Si punisce il non rispetto delle regole del cosidetto realismo socialista.

"dare forma plastica ai pensieri", questo il suo credo.
Prima di un esame alla scuola del cinema, frequentata in Ucraina, Savchenko, suo mentore, chiede di "disegnare quello che viene in mente".

Sarà proprio il disegno a salvarlo negli anni difficili della prigionia, quando in ballo è la sua identità di artista e uomo.

Frattanto in occidente, grazie anche all'interessamento diretto del suo amico Andrei Tarkovsky, si mobilitano intellettuali e artisti, Tonino Guerra, Federico Fellini, Alberto Moravia in Italia ma anche Luis Aragon, Elsa Troilet, l'amico americano Herbert Marshall, John Updike.
Dopo 4 anni e 10 giorni, in anticipo sulla scadenza della pena, riacquista la libertà. Ma dovrà aspettare il 1984 per rimettere piede in uno studio cinematografico. (15 anni di calvario). Nel frattempo le storie dei carcerati recidivi diventano sceneggiature e romanzi, nella sua fantasia.
Dirà: "Ho cento romanzi e 6 sceneggiature pronte a essere filmate".

Sono l'uomo la cui vita e anima sono tortura, dice parafrasando il poeta armeno Sayat Nova.

Parajanov 5

Parajanov 4

Parajanov 3

Parajanov 2

Parajanov 1


Scoprire e riconoscere. Sergei Parajanov.