27 febbraio 2006

le macchie nelle dita




Riprendere a inchiostrare, con il pennino. E' una cosa che mi piace, e che di tanto in tanto sento di dover fare. Mi riconcilia con quella visione di un tempo del raccontare per immagini. E poi, capita che nel fare questo o quel progetto si cerchi la scrittura che calza meglio, quella che corrisponde a certe atmosfere a certe dimensioni. Questo fa parte della mia visione.

Il lavoro del fare fumetti ha, in sé, una dimensione fisica, sensuale, non trascurabile.
La carta e l'inchiostro. Il disegno a matita, sono tutte fasi da vivere pienamente. Sono convinto che quando un autore "vive" intimamente la scena che sta rappresentando il lettore lo avverte e ha occasione di credere a quel viaggio su carta, che non rimane una cosa morta, su carta appunto. D'altronde la magia del fumetto è proprio questa. Quella di credere a questi pupazzetti che diventano una cosa reale. Vivono con noi, dentro la nostra immaginazione.
E' un gioco di trasmissioni.
In questi giorni, giorni faticosi e anche un poco confusi probabilmente, sto prendendo il ritmo delle altre storie in lavorazione. Baobab 2 è in stampa adesso, mentre vi scrivo stanno lavorando la sovracoperta, l'interno è già stampato e io sono con la testa in altri fumi, in altre dimensioni esistenziali, in altri lidi. Disegno una Parigi antica e presente. Come ho fatto per FATS.

Vedo, con Tota, un film di Orson Welles, "F for Fake", un documentario narrativo (docufiction lo chiamano gli inglesi, il genere) che ha anticipato Michael Moore di decenni. Un film brillante sull'idea di falso e di reale. Una detection illuminante, ambigua, cialtrona, ironica e sorniona che il vecchio caro Orson ha saputo distillare con la sua verve migliore.

Si aprono capitoli mentali uleriori.
f come falso

Mi diverte chi prende sul serio l'autobiografia. Come fosse "reale", a differenza della finzione.

"Il poeta è un fingitore", diceva Pessoa.
Godard aggiungeva che era "nell'arte di fare diventare la menzogna reale" che stava il lavoro buono e utile degli artisti.

Naturalmente si creano presupposti, dimensioni di racconto, toni e via dicendo...
Questo è quel che si dice saper parlare. E noi siamo tutti lettori che viaggiamo su coordinate di tipo ipnotico. Se crediamo, è segno che la magia ha luogo. Se siamo ipnotizzati seguiamo il pifferaio di turno nel viaggio che ci propone.
Mi diverte questa dimensione di "ciarlataneria", finzione che diventa vera, cosi' come la vede e racconta Orson, vestito, per l'occasione da mago moderno.

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